I nostri nomi sono parte di noi, un elemento fondante della nostra identità. Lo stesso vale per i brand name, i nomi delle aziende che popolano il mercato.
Se per noi sono stati i nostri genitori a scegliere l’appellativo con cui verremo chiamati per tutta la vita, per i brand esiste un processo ad hoc che prende il nome di brand naming.


Cos’è il brand naming e perché è importante
L’attività di naming (letteralmente “nominare, dare un nome”) è uno dei passi fondamentali che chiunque stia progettando il proprio brand si trova ad affrontare. Il nome non è infatti una semplice parola, ma rappresenta l’identità del brand, ed è – insieme al logo – il suo biglietto da visita.
In altre parole, un nome efficace è un nome rappresentativo del brand, dei suoi valori e del suo messaggio. Contemporaneamente, è un fattore di differenziazione dai competitor e un modo per comunicare efficacemente con i consumatori. È inoltre qualcosa di immutabile nel tempo: si può cambiare il logo, il target o le strategie di vendita, ma il brand name rimane lo stesso. Rappresenta dunque un vero e proprio asset immateriale, con un valore più o meno alto a seconda del successo del brand.
C’è un metodo infallibile per scegliere il nome perfetto? Purtroppo – o forse per fortuna – una formula sempre corretta non esiste. Si possono tuttavia seguire alcune semplici fasi che facilitano il processo di naming.
Le fasi del brand naming
A meno che non si abbiano illuminazioni improvvise e apparizioni a chiare lettere del nome perfetto, chiunque voglia trovare un nome efficace dovrebbe seguire un processo, composto di 3 fasi.
- Analisi del mercato e della concorrenza: in primis vanno identificati i propri punti di forza, le caratteristiche distintive su cui puntare. Contemporaneamente, bisogna capire dove si posizionano i competitor rispetto al proprio brand. Questa fase preliminare è necessaria per individuare la cornice entro cui muoversi;
- Brainstorming: via libera alle idee. In questa fase non c’è giudizio, non ci sono proposte giuste o sbagliate. Si può dare libero sfogo alla fantasia, partendo naturalmente dal contesto definito nel passaggio precedente;
- Scrematura: l’ultima fase prevede la selezione di alcuni nomi tra quelli proposti. Tra questi, sarà scelto il più convincente. Quello che diventerà il brand name definitivo.


Fonte: launchmarketing
È bene specificare che quello del brand naming non è necessariamente un processo lineare: se al momento della scrematura nessuna delle proposte dovesse risultare soddisfacente, si ripartirebbe dal brainstorming. Come abbiamo detto, il brand name è un asset per l’azienda, per cui è fondamentale prendersi il giusto tempo per trovare il nome giusto.
Aspetti da non sottovalutare
In fase di scelta è fondamentale tenere conto di due aspetti: quello legale e quello linguistico.
L’aspetto legale riguarda la registrazione del nome, una forma di tutela importante sia per l’azienda che per il consumatore. Per la prima protegge infatti l’identità e la proprietà del nome, per il secondo è garanzia di qualità. Va da sé, dunque, che un nome già esistente non può essere registrato.
L’aspetto linguistico si riferisce invece al mercato in cui il brand decide di operare. Un’azienda italiana può scegliere di rivolgersi esclusivamente ad un pubblico nazionale, quindi potrà optare per un nome che abbia un significato nella nostra lingua. Se però decide di proporsi ad un pubblico internazionale, dovrà far attenzione a scegliere un nome che funzioni in contesti linguistici differenti.
Un’altra opzione è adottare nomi diversi in paesi diversi, secondo la strategia del glocal marketing. Algida, ad esempio, in Spagna diventa Frigo, in Austria e Croazia Eskimo, in Ecuador Pinguino. Anche in questo caso è necessario un preciso studio del mercato di riferimento, per costruire una strategia di brand naming mirata.
7 tipologie di nomi
I brand name non sono tutti uguali. Ne esistono infatti sette tipologie: descrittivo, evocativo, astratto, lessicale, acronimo, geografico e patronimico.


Fonte: ignytebrands
- Descrittivo: un nome di questo tipo illustra e, appunto, descrive i prodotti o i servizi offerti dal brand. È intuitivo ma, di contro, lascia poco spazio alla creatività. Un nome come Scarpe e Scarpe, ad esempio, chiarisce subito di cosa si occupa il brand;
- Evocativo: contrariamente alla prima tipologia, un nome evocativo è meno diretto. Si serve infatti di metafore o suggestioni, senza svelare immediatamente la natura del brand. Nike, con il suo riferimento alla Nike greca, è un perfetto esempio di brand name evocativo;
- Astratto: un nome astratto è una parola inventata, che non possiede un preciso significato. Può tuttavia derivare da una parola reale, modificata per diventare un brand name unico e originale. Google, solo per citarne uno, è un nome inventato;
- Lessicale: parole composte, onomatopee e allitterazioni sono proprie del brand name lessicale. Spesso vengono inoltre accostate due parole dal suono simile. Un esempio? La catena americana di ciambelle Dunkin’ Donuts;
- Acronimo: un insieme di lettere può formare un brand name? Sì se quelle lettere hanno un effettivo significato e la sigla è facilmente memorizzabile. Meglio ancora se messe a formare una parola, come nel caso di Fiat o IKEA;
- Geografico: per alcuni brand il luogo in cui sono nati è talmente importante da inserirlo nel proprio nome. Spesso si tratta di aziende a forte carattere nazionale, come le compagnie aeree. American Airlines, British Airways o Qatar Airways ne sono un esempio;
- Patronimico: infine, i brand name patronimici sono mutuati dai nomi dei fondatori. Sono frequenti nei brand di lusso, come Chanel, Gucci e Versace.
Come scegliere il nome giusto: la tecnica SMILE e SCRATCH
Alexandra Watkins, una dei maggiori esperti mondiali di brand name, nel suo libro “Hello, My Name Is Awesome: How to Create Brand Names That Stick” elenca cinque caratteristiche che un buon nome dovrebbe possedere, riassumibili nell’acronimo SMILE.
- Suggestive: essere evocativo. Non si tratta di riferimenti descrittivi, bensì metaforici. In altre parole, il nome deve riferirsi all’universo semantico del brand;
- Meaningful: essere significativo per il target di riferimento, allo scopo di comunicare in modo intuitivo cosa fa il brand;
- Imagery: anche in questo caso, il nome deve essere evocativo, ma stavolta in senso visuale. Deve richiamare
un’immagine alla mente; - Legs: letteralmente, deve avere “le gambe”, ovvero dev’essere capace di oltrepassare le mode e durare nel tempo;
- Emotional: un buon nome deve emozionare, richiamando sensazioni positive.


Fonte: eatmywords
Ci sono però al contempo alcune caratteristiche da evitare, che Watkins elenca come SCRATCH.
Eccole di seguito:
- Spelling-challenged: il nome non dev’essere difficile da scrivere. Questo vale soprattutto per i nomi anglosassoni, per cui spesso il modo in cui si pronuncia una parola non equivale a come questa viene scritta. Anche i brand italiani, tuttavia, devono far attenzione nel caso in cui scelgano una parola inventata;
- Copycat: vietato copiare. Il nome ideale è unico, e non richiama quello di altri brand;
- Restrictive: un nome troppo specifico è limitante e impedisce al brand di espandersi;
- Annoying: da evitare nomi forzati e poco comprensibili;
- Tame: poiché il nome ideale deve suscitare emozioni, non può essere piatto e poco comunicativo;
- Curse of knowledge: ovvero “la maledizione della conoscenza”. Non si deve dare per scontato che tutti possano capire un determinato concetto o riferimento, quindi il nome non dev’essere “da addetti ai lavori”;
- Hard to pronounce: il nome non dev’essere difficile da pronunciare, per evitare incomprensioni e difficoltà;
Esempi celebri: Amazon e Spotify
Vi siete mai chiesti perché alcuni noti brand si chiamano così? Ripercorriamo la nascita dei nomi di due colossi nel loro campo: Amazon e Spotify.
Forse non tutti sanno che l’azienda che oggi noi chiamiamo Amazon inizialmente era nata con il nome Cadabra, derivante dalla parola “Abracadabra”. Il motivo di questa scelta? Nell’idea del fondatore Jeff Bezos quella che allora era una semplice libreria online doveva funzionare in maniera semplice e veloce, come una magia.
Pare che il cambiamento fu dovuto ad un’incomprensione: al posto di Cadabra, l’avvocato del fondatore capì “Cadaver” – “cadavere”. Per evitare di incorrere in errori simili, fu dunque necessario un cambio nome.
La scelta del nuovo nome fu ispirata dal Rio delle Amazzoni, il più grande fiume del mondo, come Bezos si augurava che diventasse la sua libreria. Ma tale decisione è dovuta anche ad un motivo più pratico: un nome che inizia per A risulterà tra i primi in un elenco.


Fonte: wikipedia
Per Spotify la scelta del nome fu invece del tutto casuale: come racconta uno dei fondatori, Daniel Ek, lui e il socio Martin Lorentzon erano in due stanze diverse, intenti a ragionare su un possibile nome per il loro business. Ad un certo punto Martin urlò una parola che Daniel interpretò come “Spotify”; una volta verificato che il dominio non fosse già registrato, questo diventò il nome ufficiale del brand.


Fonte: spotify
Oltre il brand name
Per quanto indubbiamente fondamentale, il brand name non è tutto. È l’elemento che determina la prima impressione, impressione che tuttavia dev’essere confermata da ciò che sta dietro una semplice parola, vale a dire l’azienda stessa. È necessario lavorare sul proprio posizionamento, investire su produzione e innovazione, lavorare sul benessere dei dipendenti – i primi testimonial di un’azienda, come insegna l’employer branding.
Insomma, trovare il nome giusto non è che il primo passo del lungo (e continuo) processo di costruzione di un brand. Un passo tuttavia da non sottovalutare, ma da affrontare con la giusta consapevolezza e i giusti strumenti. Per un brand name che duri nel tempo, e diventi garanzia di successo.


Fonte: salvatorepumo