Come si può invogliare un cliente a scegliere determinate portate rispetto ad altre? Come lo si può spingere a spendere di più? Come gli si può far percepire una maggiore qualità dei piatti?
Il trucco è fare attenzione al menù e al modo in cui le portate vengono presentate al suo interno.
Ma quali sono allora i principi che ogni ristoratore dovrebbe conoscere per rendere il proprio menù ancor più performante?
Ecco che per rispondere a questa domanda entra in gioco il neuromarketing.
Effetto primacy e recency e il paradosso della troppa scelta
Conoscere questi tre aspetti è fondamentale per capire come strutturare un menù.
Quando alle persone viene sottoposta una lunga lista di parole, queste tendono a ricordare con più facilità le prime (effetto primacy) e le ultime (effetto recency) e a dimenticare quelle che si trovano nel mezzo.


Questi effetti si riflettono anche nella lettura di un menù, con la conseguenza di portare i clienti a ignorare nella maggior parte dei casi i piatti che si trovano nel mezzo.
Oltre al primacy e recency effect c’è poi il paradosso della troppa scelta, definito così dallo psicologo americano Barry Schwartz nel suo testo “The paradox of choice: why more is less“.
Secondo tale paradosso, di fronte a tante offerte differenti il consumatore tende a orientarsi verso prodotti già conosciuti o a variare all’interno di una categoria prestabilita. L’esperienza pregressa e l’abitudine giocano quindi un ruolo di primaria importanza in questo caso, orientando l’attenzione verso prodotti già conosciuti ed eliminando tutto ciò che non rientra nell’ambito del conosciuto o desiderabile.
In generale, il paradosso della troppa scelta ha 3 conseguenze:
- Paralisi: con tante opzioni tra cui scegliere diventa più difficile farlo;
- Rammarico: di fronte a tante opzioni bisogna necessariamente scartarne alcune potenzialmente desiderabili e questo crea una situazione di dissonanza cognitiva;
- Aumento delle aspettative: nei confronti delle opzioni, che si trasforma in una minor soddisfazione finale indipendentemente dalla scelta fatta;
Ciò fa si che un cliente confuso di fronte ad un menù con tante opzioni di scelta tende inevitabilmente a scegliere quei piatti che gli danno più sicurezza, ossia quelli a lui più familiari oppure meno costosi, con la conseguenza di non riuscire a guidarlo verso le portate più profittevoli per il ristorante.
Cosa ci dice l’eye tracking?
L’eye tracking è una tecnica che permette di rilevare il movimento e la dilatazione dei bulbi oculari di fronte a una pagina web, una rivista, un prodotto o un menù e di misurare conseguentemente quali aspetti colpiscono maggiormente l’attenzione del consumatore.
Grazie all’utilizzo dell’eye tracking è quindi possibile migliorare l’efficacia di una comunicazione e tramite le mappe di calore è infine possibile identificare le aree in cui si focalizza maggiormente lo sguardo.


Secondo uno studio condotto dalla professoressa Sybil Yang, Assistente dello Stato di San Francisco, i consumatori in media leggono il menù come se fosse un libro.
Essi quindi seguono un percorso, partendo dall’inizio in alto a sinistra fino alla fine in basso a destra, per poi tornare indietro.
Nell’immagine di seguito potete vedere evidenziate in rosso le zone di maggiore focalizzazione per 3 tipologie di menù.
Come far abboccare il cliente: l’effetto esca
Prima di parlare di effetto esca è importante fare una piccola parentesi introduttiva sui bias cognitivi.
Essi sono dei pregiudizi che si sviluppano sulla base dell’interpretazione delle informazioni di cui si è possesso e portano generalmente a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività nel giudizio.
I bias cognitivi sono un prodotto dell’evoluzione umana: il bisogno di prendere decisioni rapide davanti a determinati stimoli, problemi o situazioni ci ha portati a processare le informazioni a nostra disposizione in modo frettoloso e soggettivo, scartando altre informazioni che potrebbero esserci utili per una valutazione più accurata.
Si tratta di una sorta di “tecnica di difesa” impiegata automaticamente dal nostro cervello per evitare la dissonanza cognitiva provocata da una quantità troppo elevata di informazioni. Tornando all’effetto esca: anch’esso si basa sui bias cognitivi.
Esso è quel fenomeno per il quale i consumatori tendono a modificare la propria preferenza rispetto a due opzioni quando gliene viene presentata una terza. Si tratta di una delle tecniche di neuromarketing più diffuse ed è utilizzato pressoché ovunque, dalle offerte durante il periodo di sconti nei nei negozi di abbigliamento a quelle sui prodotti venduti nei supermercati.
Uno degli esperimenti più famosi, a tal proposito, è sicuramente quello condotto nel 2013 da National Geographic in un bar di un cinema dove, inizialmente, vi era la possibilità di scegliere tra una porzione di Pop Corn piccola a 3$ e una grande a 7$.
I risultati dimostrarono che la maggior parte delle persone scelse inizialmente la porzione piccola, ma inserendo una terza opzione, la porzione media da 6,50$, il risultato cambiò drasticamente ed improvvisamente la porzione grande divenne agli occhi del cliente un vero e proprio affare.
Come potete capire però si trattò soltanto di un’illusione, poiché in realtà le persone pagarono 4$ in più di quanto avrebbero voluto spendere.


Conclusione: come rendere il menù più efficace
Per concludere, qui di seguito sono elencati alcuni semplici suggerimenti che possono essere utili per migliorare il menù di un ristorante:
- Mischiare i piatti in modo strategico: il cliente tende nella maggior parte dei casi a comprare la portata dal costo intermedio, a meno che il prodotto più caro non venga raccontato in modo particolarmente convincente. A tal proposito, un buon storytelling del piatto può fare la differenza. L’obiettivo, mischiando i piatti, è quello di aumentare la probabilità che il cliente scelga quelli più profittevoli.
- Evitare troppe opzioni (Less is More): un numero eccessivo di piatti rischia di confondere le idee del cliente, creando in lui il paradosso della troppa scelta. Avete presente i classici menù turistici che offrono carne, pesce, pizza, e chi più ne ha più ne metta? Ecco, non sono solitamente esempi da seguire. Meglio uno stile chiaro e minimale, molto utilizzato, ad esempio, nelle carte dei ristoranti di alto livello. Uno tra tanti? Cracco.
- Fare attenzione alla grafica e ai materiali: è meglio utilizzare pochi colori, neutri e leggeri. Lo sfondo non deve disturbare la lettura, il contrasto dev’essere ben bilanciato e il font dev’essere semplice e senza fronzoli, per rendere la lettura più semplice possibile. Anche i materiali giocano un ruolo importante: la plastica oggi già che mai risulta sempre meno apprezzata e associata a una bassa qualità del ristorante e dei prodotti. Meglio quindi un’alternativa cartacea, più semplice ed elegante.
- Curare lo storytelling dei piatti: la descrizione deve essere semplice e fluida, ma soprattutto deve suscitare appetibilità senza sembrare eccessivamente costruita. Ad esempio, ricorrere a parole chiave come “DOP” o “IGP” può far percepire al cliente una maggiore qualità. Anche qui, la semplicità dev’essere padrona, insieme ovviamente alla sincerità: i piatti devono corrispondere fedelmente alle loro descrizioni.


Progettare un menù è tutt’altro che semplice. Basti pensare che alcuni ristoranti a volte impiegano anche diversi mesi solamente per la fase di progettazione, sperimentando trucchi come quelli sopra descritti fino a riuscire a mettere a punto il menù più efficace e capace di portare al raggiungimento dei loro obiettivi.
Viene quindi dai chiedersi: vale la pena investire tutti questi sforzi nel marketing di un ristorante?
La risposta è sì, senza dubbio oggi più che mai.