Il turismo e il marketing cringe che (ci) piacciono molto

Siamo da sempre attratti dalle tragedie, quando sentiamo la sirena di un’ambulanza o di un volante per strada ci fermiamo a osservare, incuriositi. Le storie che parlano di catastrofi, tragedie e morte hanno il potere di monopolizzare i discorsi e l’attenzione e lo sa bene il mondo del marketing che ha imparato a sfruttare questa leva.
Libri, serie tv, campagne pubblicitarie, podcast, gadget… siamo circondati dalle storie dell’orrore eppure non ne siamo mai sazi.
La nuova frontiera di questa tendenza? Il turismo dell’orrore.

Che cos’è il turismo dell’orrore

Con il termine turismo dell’orrore, dark tourism, si fa riferimento ai viaggi che hanno come destinazione luoghi associati a morti e tragedie entrate nell’immaginario collettivo.
Nella definizione data da Philip Stone* direttore dell’Institute for Dark Tourism Research: “dark tourism è l’atto di viaggiare e visitare siti associati alla morte, alla sofferenza o a ciò che è apparentemente macabro”.
Il termine dark tourism venne introdotto per la prima volta nel 1993 dal sociologo Chris Rojek che fece un’importante distinzione tra: “luoghi nostalgici” di morte; “black spot”, luoghi associati a morte e sofferenza.
Qualche esempio:

  • Il Colosseo, Il Campo di concentramento di Auschwitz, Il Cimitero del Père-Lachaise in Francia, sono tutti luoghi di morte;
  • Il World Trade Center, la villetta di Cogne, la casa di Avetrana, il Tunnel dove si schiantò l’auto con Diana Spencer e Dodi La Fayette, sono luoghi associati alla morte.

Questi posti, nel corso degli anni, sono diventati delle vere e proprie attrazioni prese d’assalto dai turisti e dove si inserisce il marketing in tutto ciò?

Marketing dell’orrore: la leva sensazionale ed emotiva

Il turismo dell’orrore non fa altro che vendere un’esperienza, è, a tutti gli effetti, marketing. Un marketing che sfrutta determinate sfere emozionali, argomento di cui abbiamo parlato in questo articolo.
Pensiamo al
World Trade Center a New York, oggi al posto delle Torri Gemelle, distrutte nell’attacco terroristico del 11 settembre 2011, sorge un monumento alla memoria e un Museo. Il Museo è visitabile tutti i giorni e offre una serie di gadget legati alle Torri Gemelle, per non parlare delle bancarelle che per tutta la città vendono maglie, tazze e portachiavi sull’attacco terroristico.
Sono due le leve che vengono sfruttate: 

  • quella sensazionale, offrire alle persone la possibilità di visitare luoghi di culto, sentirsi parte della loro storia e portarsi a casa un pezzettino di quella storia;
  • quella emozionale, “da brividi”, le persone visitano luoghi oscuri perchè ne sono spaventati ma anche attratti.

Analizziamo un esempio pratico: Chernobyl è il famoso sito ucraino legato al disastro nucleare del 1986, quando l’esplosione di uno dei reattori della centrale nucleare causò la morte immediata di 31 persone e conseguenze a lungo termine, come l’incremento di casi di cancro alla tiroide, che hanno coinvolto migliaia di persone. Nel 2019, più di 125.000 turisti ha visitato la zona di esclusione di Chernobyl, da sempre luogo di fascino e paura in tutto il mondo. L’uscita della serie tv “Chernobyl”, scritta da Craig Mazin per HBO e Skyt Atlantic, che in cinque puntate racconta del disastro nucleare, ha incrementato l’interesse delle persone e il flusso di turisti. Il marketing e l’intrattenimento conoscono benissimo il potenziale di queste storie e l’unione dei due campi porta a fenomeni di interesse di massa. Oggi, per Chernobyl, si possono acquistare dei veri e propri “pacchetti viaggio”, divisi per tipologia e offerta, che portano gli ospiti, equipaggiati con contatori Geiger, nella città fantasma di Pripyat dove il tempo si è fermato e si può toccare con mano la tragedia che colpì un’intera comunità.

Perché il dark tourism piace tanto?

Uno dei fattori centrali è il tempo. Gli eventi tragici accaduti in tempi recenti sono facilmente riconoscibili dalle persone, creano empatia e hanno un impatto maggiore rispetto a quelli più lontani. Il Colosseo e il Ground Zero sono entrambi luoghi associati alla morte, eppure vengono percepiti in modo diverso.
La spettacolarizzazione della morte poi, in onda sui canali mediatici praticamente 24 ore su 24, non fa che aumentare l’interesse e la curiosità. Per lo studioso Rojek, la popolarità di questi luoghi si può attribuire alla loro straordinarietà: sono posti che raccontano di violenze estreme che sconvolgono le routine delle persone e le avvicinano tra loro creando un senso di comunità.
Ma c’è un MA.

Il Dark tourism è etico? Il caso Avetrana

Qualche mese fa il Comune di Avetrana, in provincia di Taranto, ha sporto denuncia contro la serie tv Avetrana – Qui non è Hollywood” trasmessa su Disney+. La serie ripercorre la vicenda dell’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi avvenuto nel 2010 ad Avetrana, che da allora è diventata una delle mete preferite del dark tourism in Italia. Il comune, proprio per evitare altre ondate di interessamento malsano verso il paese e la comunità, ha chiesto che venisse eliminato dal titolo della serie tv il riferimento al nome della cittadina. Secondo il sindaco Antonio Iazzi: “l’adattamento cinematografico suscita una portata diffamatoria, rappresenta una comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà“. La comunità di Avetrana, scrive ancora il sindaco, “ha da sempre cercato di allontanare da sé i tanti pregiudizi dettati dall’omicidio, dal momento che la tragedia destò sgomento nella collettività, interessata da una imponente risonanza mediatica”.
Il risultato? Il riferimento diretto al comune di Avetrana è stato eliminato dal titolo della serie tv ma l’interesse del pubblico non è diminuito, anzi.

Il punto critico del dark tourism riguarda proprio la questione etica: quanto si può considerare “giusto” minare la sensibilità di una comunità colpita direttamente da una tragedia? O ancora: quanto è “consueto” farsi un selfie davanti al campo di concentramento di Auschwitz o comprare un gadget dell’11 settembre? Più in generale: si possono considerare etiche la promozione e il consumo di luoghi testimoni di morte e sofferenza?

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